Verso il
tardo pomeriggio inizia a nevicare, esco
imprecando dalla stanza
allestita a bivacco invernale del Rifugio Casera di Bosconero, mentre
Pietro alimenta il fuoco della stufa. Scruto meravigliato
l'inaspettata nevicata e preoccupato per le condizioni che troverò
l'indomani in parete cerco di sedare l'ansia fumando una cicca dietro
l'altra. Le previsioni allora non erano precise come ai
giorni nostri e quell'anno l'inverno si era presentato piuttosto mite
e privo di precipitazioni , ritardando le mie ambizioni alpinistiche.
Da tempo avevo programmato di fare da solo lo “strobel” in
invernale cercando di emulare colui che per me era il più grande
alpinista solitario di sempre, e cioè Renato Casarotto, che aveva
percorso la via in cordata per la prima volta nella stagione
avversa. Naturalmente volevo le condizioni come nelle sue imprese:
con tanta neve e temperature estreme e forse quella nevicata che
tanto mi irritava capitava a pennello per colorare con più bianco le
montagne un po' smorte di quel febbraio inusuale. La mattina giunti di
buon ora con il cielo terso, avevamo trovato il sentiero privo di
neve fin quasi sotto al rifugio, e Pietro che come in altre occasioni
si era offerto volontario per aiutarmi nel trasporto del materiale,
era più infastidito di me per le condizioni troppo morbide della
montagna. Con il tramonto il cielo si apre, sono caduti appena 5 cm
di neve, e un forte vento sconquassa i profili della Rocchetta
sollevando un turbinio bianco che pian piano si dissolve nel blu
intenso del cielo ormai pronto a far spazio alle stelle. Quando
rabbuia tutto si calma e il gelo ci accompagna verso il calore del
rifugio, ceniamo dando fondo all'ultimo goccio di vino nero che il
mio amico ha vinificato con amore e passione. Pietro è un tipo
eccentrico, un pensatore, un ribelle rabbioso in conflitto con gli
eccessi della modernità, cerca nel possibile di coltivare in modo
naturale tutto ciò che mangia, ha portato persino un po' del tabacco
prodotto in piccola quantità finemente con le sue mani. Ha un amore
immenso per la montagna, per le zone selvagge, ma non ha mai ambito
scalare e vivere la roccia, il suo mondo sono i boschi, le valli
anguste, i suoni della natura. Dopo quegli anni il mio compagno
invecchiando si è un po' rabbonito, mantenendo comunque fede ai suoi
ideali, eravamo grandi amici ma purtroppo come spesso capita nei
rapporti più forti, alcune incomprensioni ci hanno fatto perdere di
vista, senza però farmi dimenticare i bei momenti passati assieme.
Dopo un buon caffè corretto con la grappa usciamo per fumare, lui si
prepara la pipa che abilmente si è costruito ed io scopro con
stupore di avere a disposizione l'ultima sigaretta, ho fumato tutto
il giorno senza ritegno. La dipendenza al tabacco mi porta in uno
stato confusionale; dovrò rinunciare alla salita, come potrò
bivaccare in parete senza la compagnia del fumo...!? Mentre mi gusto
ansioso l'ultima cicca, guardo il mio amico con una maschera di
supplica, e lui capisce dove andrò a parare e si infastidisce, tiene
a quel tabacco come ad un oracolo e lo fuma con parsimonia e
devozione. Impreca, dandomi del tossico incapace di controllarmi, ma
poi capisce e si rassegna: “ …questo la via senza fumar no al va
a farla!” Su quello che non intrasige è il prestarmi la pipa,
avrà bisogno di fumare anche lui, rimarrà al rifugio da solo per un
giorno ancora e anche per la notte successiva, poi si vedrà…
L'unica cosa che mi viene in mente è ritagliare minuziosamente in
piccoli pezzi una pagina del giornale che si trova sulla cassa della
legna vicino alla stufa. Preparo una ventina di cartine già pronte
all'uso. Prima di coricarmi rollo un po' del tabacco che il buon
Pietro mi ha preparato su una busta di nylon; lecco con più saliva
possibile, ma la carta si stacca continuamente, quando provo ad
accendere quella specie di mozzicone contorto, il bordo si infiamma,
la spengo e provo a tirare, una aspirata acre che toglie il fiato e
poi la brace si spegne, devo ripetere l'operazione più volte, prima
di stabilire di aver assunto la giusta dose di quella droga di cui
sono dipendente ancora oggi, sarà un impresa, ma non ho alternativa.
La mattina di buonora quando usciamo fa un freddo bestiale, la mole e
la siluette nera della Rocchetta Alta che si staglia contro il cielo
ancora stellato mi incute paura, ma quando intuisco le striature e le
pennellate candide lasciate dall'ultima nevicata, il mio spirito
d'avventuriero riacquista vigore. Sul sentiero dietro il rifugio il
mio compagno si piazza d'avanti con un bel zainone in spalla e
comincia a battere la traccia, man mano che saliamo la quantità di
neve aumenta, sprofondiamo anche per trenta quaranta centimetri, io
sbuffo parecchio, i miei polmoni faticano a dilatarsi, ostruiti
sicuramente da una massa di catrame e nicotina. Sotto lo zoccolo
indosso l'imbragatura, sistemo tutto il materiale in modo ordinato, e
lego lo zaino da recuperare sul capo di una delle due corde che mi
faranno compagnia durante la salita. La prima parte è completamente
innevata, sono costretto ad indossare i ramponi, stringo bene il
cinturino di sicurezza e dopo aver salutato il mio amico, parto.
Salgo senza assicurarmi aprendomi la strada sulla neve , i ramponi
grattano sulla roccia nascosta e con la picca cerco di trovare
qualche sporgenza dove caricare la forza in trazione, dietro di me
una scia scura lascia intuire il mio passaggio. Dalle cenge in alto
piccole slavine di neve polverosa rovinano verso il basso passandomi
accanto, ma ormai il mio corpo caldo ed eccitato dall'ambiente magico
che mi sta attorno, mi fa sentire un leone, tanto da immedesimarmi
con la figura del “grande Renato” che sale imperterrito contro
gli elementi. Sotto al primo tiro vero e proprio decido di proseguire
in autosicura e di indossare le scarpette, anche se la parete è in
parte vetrata. Le scarpe erano un paio di mitiche One Sport un numero
più grande, indossate con due calzini. Superato il primo strapiombo,
cercando di evitare i tratti di ghiaccio, sono costretto ad
attraversare subito a sinistra e a risalire un diedro intasato di
neve. Impreco per un infinità di tempo buttando dentro tutto quel
che posso, e ahimè azzerando ogni passaggio, prima di venirne a
capo. Dopo la discesa e la risalita con i jumar mi stravacco sulla
cengia ansimante e con il desiderio incontrollabile di fumarmi una
cicca. Devo essere parsimonioso, perché il tabacco è dosato e mi
dovrà servire per la lunga notte, rollo la sigaretta con le mani
intirizzite e secche, ne vien fuori un moncone informe che continua
ad aprirsi sul punto di giunzione, riesco a fare un paio di aspirate
alla disperata e poi il contenuto finisce sulla neve, bestemmio
dandomi del idiota per non aver portato con me le sigarette
sufficienti... Lo spigolo aereo della Rocchetta appare ora ripulito,
decido di proseguire slegato per velocizzare i tempi. Mi sistemo bene
due cordini con due moschettoni sull’imbrago per essere pronto ad
agganciarmi eventualmente a qualche chiodo e riparto. Proseguo così
per altre cinque lunghezze, assicurandomi solo parzialmente su
qualche passaggio e recuperando ad ogni tiro lo zaino agganciato ad
un chiodo della sosta con un gancio fiffi. Superato i due tiri più
impegnativi decido di sistemare il posto da bivacco sul esile cengia
sotto al diedro giallo strapiombante che conduce sulla parte alta
della via. Il recupero del saccone mi ha acciaiato le braccia, non so
che ore sono, non ho un orologio e cerco di regolarmi con la luce del
sole. Giù al rifugio intravedo movimento, ci sono tre persone; Aldo
De Zordi con un amico è venuto per seguire la mia invernale, vengo a
sapere successivamente che in quel frangente stavano discutendo con
Pietro sul perché mi fermassi così presto. Sono solo le due. Scatto
qualche foto, scoprendo in futuro che l'otturatore della mia nuova
Yashica reflex tutta meccanica e manuale ha il vizietto di non far
aprire l'otturatore quando fa un po' di freddo, bestemmierò poi,
facendomi comunque fregare in altre occasioni. Non capisco perché il
buio tardi ad arrivare, ma stando fermi fa freddo, mi infilo nel
sacco piuma e armeggio con il fornello per sciogliere un po' di neve
e prepararmi una bevanda calda, poi preso nuovamente da una crisi
d'astinenza, mi industrio per risolvere il problema delle cartine,
costruisco con il cartoncino di una scatola di sardine una sorta di
cono che assomiglia vagamente ad un “ciloom”, lo riempio di
tabacco e lo accendo, sembra funzionare, solo che per tenerlo acceso
devo aspirare con forza continuamente, tanto da stordirmi ed entrare
in uno stato comatoso. Tra uno spuntino e l'altro ripeto più volte
l'operazione, mentre la penombra lascia spazio nuovamente al cielo
stellato. Le luci di Zoldo pian piano si accendono dando alla vallata
un tocco magico, mentre l'imponente sagoma della Civetta si staglia
sempre più scura sull'orizzonte in dissolvenza. Il gelo mi avvolge,
entro completamente dentro il sacco, lasciando un apertura di pochi
centimetri, giusto per poter respirare. La notte è interminabile un
dormiveglia continuo, ogni tanto esco dal mio caldo “cuccio”, per
cercare la compagnia del fumo, ogni volta una raggelata incredibile,
ci vogliono parecchi minuti per tornare ad un tepore accettabile. Do
fondo alleultime riserve di tabacco e verso mattina entro in un sonno profondo... E' giorno già da un pezzo quando esco tremante dal mio nido notturno, sono nervoso e preoccupato per l'assenza di tabacco, dovrò salire più veloce possibile per evitare un eventuale bivacco, parto nuovamente slegato. Sotto al primo strapiombo, ho le mani completamente ghiacciate, saggio attentamente un chiodo dove sono costretto ad appendermi, ci metto un infinità di tempo a riscaldare le mie dita indiavolate, ma poi proseguo veloce senza intoppi. Sul canale terminale sprofondo fino alla cinta, mi alzo un metro e scivolo all'indietro di mezzo, una lotta con l'alpe, ansimo per un infinità di tempo ma poi riesco a stravaccarmi sulla forcella sotto la cima dove termina la via. Urlo di gioia, mi sento un eroe, per festeggiare cerco con la fantasia le immagini di Casarotto, di Bonatti, di Bee... mi guardo intorno ma sono solo... tutto mi pare offuscato, quanto vorrei avere una cicca a farmi compagnia... Quando giungo al rifugio, Pietro mi attende sorridente, già da lontano ha visto nel mio volto trasparire il bisogno di fumo, si congratula con me e mi porge con fierezza la sua pipa già pronta all'uso...
Stupendo
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