mercoledì 26 dicembre 2018

Schievenin d'inverno: LE PLACCHE ALTE

Le "Placche Alte" non tramontano mai. E' il settore più bello della Valle di Schievenin . Usufruibile nelle mezze stagioni, è anche una delle poche pareti che si presta per qualche ora nel periodo invernale. A novembre il sole, se ne va verso le tredici e trenta, sfiorando una aguzza cima sulla cresta ripida sopra il torrente Tegorzo prima di tramontare con calma dalle parti della Val Cinespa. Nelle giornate più corte,invece, la luce gioca a nascondino: passa dietro alla cuspide e crea una suggestiva aura che  porta un alito gelido al mal capitato che sta ancora arrampicando. Poi il sole ritorna, ma è solo un illusione, il tempo di terminare il tiro, calarsi, vestirsi, azzardare un'altra via, e l'ombra ritorna definitivamente ad addormentare la valle.
Per fortuna, per chi è mattiniero, il sole arriva verso le otto e trenta. I primi raggi si scontrano con le tenebre del fondo valle, dando vita ad una lotta che si ripete da sempre, ma che si conclude in modo bonario  con brevi schermaglie e un fastidioso venticello destinato a dissolversi.
 Le danze cominciano, abitualmente, su "Notti di maggio" un VI di riscaldamento posto sul settore sinistro, con prese grandi e appoggi netti e sicuri che fanno ben accettare i geloni ai piedi e le mani indiavolate. Un buon te caldo, le scarpette riscaldate sotto le ascelle e poi, chi se la sente, passa subito a "Sogni erotici", una larga fessura che parte strapiombante per poi ammorbidirsi e restringersi in alto fra due pagine lisce, dove bisogna contorcersi per risolvere un' enigma. Alla base, una vecchia scritta ormai sbiadita, dice: VI- 😂... ma è un bel 6a+.
Chi vuol rimanere sul classico, invece, si trasferisce timidamente dietro l'angolo, dove i raggi faticano ad affacciarsi alla base. Sul margine sinistro della larga fascia rocciosa, un enorme pilastro delineato da una netta spaccatura, ci invita sulla la via "Camino alto": una partenza strapiombante, costantemente all'ombra, dà subito filo da torcere. Quindi un breve tratto in spaccata porta verso il tepore della luce, le mani si riscaldano e la rimanente fessura è una manna dal cielo.
Ci sono poi, anche le "placchettine" a destra e a sinistra, su roccia stratosferica, ad assicurare il divertimento.
Dall'altra parte invece, i "bighetti" dopo aver fatto il "Diedro proibito" e "Spazio ai giovani", due fra i più bei diedri della valle,  scaldano definitivamente l'ultima falange delle dita graffiando sulle ridicole tacche che consentono di superare le obesità della via "Signora delle cime".
Prima di spostarsi definitivamente sul settore destro delle Placche Alte vale la pena di provare anche "Libera nost domine", un viaggio da brivido, recentemente restaurata e proposta con una nuova partenza,  mantenendo rigorosamente la distanza dei "salva vita".
Il settore destro è un concentrato di vie stupende su placche gialle e colate nere con movimenti tecnici e singoli da cardiopalma, massimo 7c,  ma con sequenze difficili da interpretare che sanno mettere in difficoltà anche nomi illustri.
Si inizia con il " Mazzarol", un 7a+ di continuità, che termina dopo una lotta di allunghi sopra ad uno strapiombo da sballo. Si passa poi a "L'astro nascente", altra passeggiata di continuità, super gettonata, con movimenti su canne, sbilanciamenti e finale su tacca e appoggi inesistenti (un appoggio finale qualche anno fa si è rotto e la via adesso è forse 7c...).
Quindi è la volta di "Loocker room", divertente danza di opposizioni nella prima parte, sembra tutto facile, ma poi bisogna aprire le chiappe e tenere due "oscenità", sormontare un tettino e muoversi come in una "slackeline" prima di distendersi e illudersi di poter andare ad agguantare la sosta.
Mentre il sole allunga sempre più le ombre e la brezza gelida torna a risalire dal fondo valle, c'è tempo ancora per un altro tiro, non c'è altro che l'imbarazzo della scelta, le vie sono una più bella dell'altra :" Schievefest" parte morbida per poi concentrarsi su di uno sbilanciamento sullo spigolo e un successivo mono dito; "Voglio andare a casa" forse è la più dura, c'è qualche scavato che la rende morfologica, ed uno basso di statura fa un grado in più; "Yoska" si affronta subito trattenendo il respiro, la distanza delle protezioni fa venire l'ansia e dopo una placca da ingegnere per arrivare ad una spallata e uscire sulla cengia, si rischia davvero di dover aprire il paracadute; "Il signore del male" altro viaggio stupendo suddiviso in tre sequenze: bidito da tenere con il ginocchio sul mento, poi canne, rovescetto,  piedi spalmati e dinamico che porta sullo strapiombo finale con un bel tratto in libera obbligatoria.
Fatta una di queste, per chi ne ha ancora e non si è perso in chiacchiere, sul pilastro più a destra dove  il sole sembra non andarsene più, sale uno dei fiori all'occhiello della valle: "Il dubbio" una via con tre zone strapiombanti e cattive ( per fortuna con altrettanti mega riposi) da superare con i bicipiti contratti allo spasimo e gli addominali belli tesi.
Dopo di questa, non c'è più scampo, l'ombra sovrasta la valle, la temperatura cala bruscamente e la brina comincia a riprendere possesso di ogni anfratto.  Quelli come me con tante candeline, le dita contorte e le giunture arrugginite e doloranti, abbassano le orecchie, ritraggono la coda fra le gambe e in fretta e furia se ne vanno bramosi di distendersi sul sofà vicino alla stufa. I più giovani tengono botta, approfittando della roccia che trattiene ancora un po' di calore, azzardano un altro tiro, ma mi sa che ora è dura tenere quelle micro tacche...  😕😱
Prossimamente la manutenzione di alcune soste, grazie alla collaborazione di Roberto,Lucio, Massimo, Mirco, Toni e Fabio,  renderanno il settore, oltre che  bello, ancora più sicuro...













martedì 27 novembre 2018

Una delle pagine più belle...

Sicuramente da non prendere alla lettera, ma è un pensiero che fa riflettere...
Da "Eravamo immortali" di Maurizio Zanolla:
Salire una montagna da soli - per una parete di roccia verticale, per un canalone ghiacciato o per cresta - è fonte di grande soddisfazione personale. Bisogna però vedere in che modo si porta a termine la solitaria. Un vecchio principio di sicurezza dice che devi saper scendere ogni passaggio superato in salita. Per molti solitari questa è la regola fondamentale, ma ad altri non basta; allora si ricorre alla corda, con i vari sistemi di auto assicurazione, che oltre a limitare di molto i rischi di una caduta inarrestabile donano una sicurezza psicologica non indifferente. "Se cado la corda mi tiene". Così, però, viene a mancare una delle una delle componenti più importanti dell'ascensione solitaria: il sapere per certo di non poter contare su niente e nessuno, di non poter sbagliare." Se cado è finita". Il solitario dovrebbe contare solo su se stesso e sui propri mezzi, valutandoli e usandoli in modo da ottenere il risultato voluto. Si arrampica privi di ogni assicurazione. L'autoassicurazione va bene per chi mira alla prima solitaria, o all'impresa sportiva inserita nell'ambito generale dell'alpinismo odierno, che punta sempre più alle competizioni agonistiche. Roba che nulla ha a che vedere con lo scalare i monti. La vera arrampicata è un'attività meravigliosa, uno stile di vita fantastico, slegato dal resto del mondo; un taglio netto con la società e le sue leggi, le sue regole assurde, con cui non rimane altro che un freddo rapporto commerciale.
 Libertà totale del fisico e della mente, in un'attività che non ha paragoni; fa parte della montagna stessa, dialogare con il vento, la neve, il sole; sentirsi camosci, aquile, natura, quindi uomo nella sua vera dimensione.
A questo punto non esistono più gradi di difficoltà o tempi di salita: si va, si sale e si scende per ripartire ancora. Le cose mostrano allora la loro vera fisionomia, smascherate dai falsi pregiudizi che avevamo all'interno di una società bizzarra, assurda, che lì non esiste più.
Anche la morte - terrore degli uomini, considerata il peggiore dei mali da chi sente il bisogno di pregare - mostra la sua vera faccia: non fa più paura. Anzi, la si accetta, la si guarda in volto e la si sente arrampicare accanto, ma non da fastidio.
Il solitario può arrivare al limite, può arrampicare rischiando di cadere, o rischiando di morire perché in discesa non saprebbe quel che ha appena fatto in salita, ma non importa. Non mette a repentaglio l'incolumità di nessuno. Di solito, quando lo vanno a raccogliere, i soccorritori non superano neppure il limite delle ghiaie poste alla base della parete.
Si può anche morire vivendo.          ( Roberto De Bortoli, detto Bob)






sabato 6 ottobre 2018

Via" Banco di prova" Sass de Mura, avancorpo occidentale, parete sud ovest, Pier e Aldo

E' stato veramente un banco di prova... Giunti all'attacco Aldo mi guarda perplesso, non capisce dove ho intenzione di disegnare una linea sensata su quegli strapiombi, e guardando in su pensa ad alta voce dicendo: "....se passiamo di là, vuol dire che siamo destinati a non smettere mai!".      In realtà ora neanche io capisco più dove salire, vedo tutto giallo e aggettante... l'idea strampalata vista dalla foto sembrava logica,   e con un po' di fantasia mi vedevo volteggiare su elevate difficoltà tutto in libera e in modo pulito.... attacchiamo senza troppa convinzione...ma cosa ci fanno due vecchi pieni di acciacchi su di qua???
Con una buona dose di fortuna riusciamo a sciogliere il nodo della matassa: la roccia non è quella della Vallaccia, ma si lascia comunque domare alternando tratti discreti a tratti così e così, ma  regalandoci in cambio un' infinita possibilità per proteggerci.
Nel primo tentativo sono purtroppo costretto, a malincuore, a fare alcuni "resting" ed un passaggio in A1  per posizionare qualche chiodo discreto. La volta successiva rifacciamo tutto in libera, completiamo la via lasciando le soste quasi completamente attrezzate e tutti i chiodi usati lungo i tiri.
Naturalmente non è mancata la festa, giunti in macchina Aldo tira fuori con mia grande sorpresa una borsa frigo contenente un salame di cervo, rigorosamente prodotto da lui, e una bottiglia di vino nero.... e così complimentandoci a vicenda e fra una sorsata e l'altra, il mio compagno mi confessa: " pensa che, in più di quarantanni che vengo su di qua a scalare e ad aprire nuove vie, non ho mai volto lo sguardo agli strapiombi di quella parete...".

Per una ripetizione portare alcuni chiodi, utili quelli a lama, e una serie completa di friend.

Accesso e ritorno come per la via "l'ultima del vecio"(guardare su uno dei post precedenti).













sabato 15 settembre 2018

Via "Attraverso al col del bottiglion" Sass de Mura ( spallone sud) Pier e Aldo


Durante il sopralluogo del primo tentativo scrutando la parete, ci viene naturale soprannominare un evidente pilastro staccato che fa da direttiva alla via: "al bottiglion".   Poi, quando scopriamo che la parte alta del pilastro è staccata dalla parete e permette facilmente di passare da un estremo all'altro,   ci pare ovvio, ridendo, chiamarla: "via attraverso al col del bottiglion".
A dire la verità non proprio ridendo, perché per arrivare fino a là, abbiamo dovuto sudare le pene dell'inferno, superando dei tratti difficili su roccia non proprio compatta. Ma già lo sapevamo che su queste montagne si viene per per passione e per praticare un alpinismo un po' fuori moda e accettare quello che l'ambiente ci pone davanti. Detta così sembra convincente, nella realtà poi, dopo un tiro sopra il "collo", su roccia tutto sommato discreta, ci siamo trovati davanti un muro giallo di roccia orribile e ne avevamo piene le palle, tanto che,  a malincuore abbiamo desistito rinunciando ad ogni sogno di gloria. Solo poi, a casa, riguardando attentamente la foto, ci siamo entrambi accorti, che poco a sinistra, non visibile da dove eravamo arrivati, c'era una fessura evidente che offriva una bella scappatoia. La settimana successiva ci accompagnano all'attacco Renato e Paolo, sobbarcandosi una parte del peso, una vera manna, un altruismo d'altri tempi a cui va la nostra più sincera gratitudine. Decidiamo anche di barare, facendo due tiri sulla Cassol - De Bastiani, per attraversare poi abbastanza agevolmente a destra fin sotto al "col del bottiglion".  Raggiunta l'ultima sosta, della volta precedente, con quattro bei chiodoni, attraversiamo a sinistra scoprendo che la fessura, si c'è, ma per raggiungerla bisogna superare uno strapiombo netto e di roccia non proprio rassicurante. E vada anche per questa, accoppio tre friends in successione, spero che tenga un rovescio, e con due "bloccagioni" sono sopra. Poi la via molla, c'è anche un tiro bello su roccia compatta. e quindi l'uscita sulla via Cassol- De Bastiani. La gioia è immensa, un "vecio" e un "vecion" riescono a vincere ancora una volta una  parete dimenticata, in un ambiente unico, fuori dalla ressa degli arrampicatori "fighetti" e dalle vie multipitch gradate francese.  La sorpresa più grande è in cima: Renato è salito per lo spallone sud, ci ha aspettato, e dal suo zaino esce magicamente una bottiglia di vino nero. Non sarà un bottiglion, ma l'attinenza per il nome della via è scontata.

Via impegnativa, in ambiente severo e su roccia non sempre buona. Per una ripetizione portare una serie completa di friends e alcuni chiodi. Le soste fin sopra "al col del bottiglion" sono quasi tutte  attrezzate, mentre le altre sopra hanno un solo chiodo. I chiodi usati su i tiri sono tutti rimasti.
Sviluppo: 400m. ca.; Diff. V VI e due brevi tratti VIII-

Accesso: Dal Rifugio Boz o da Malga Neva di mezzo per il Pass de Mura e quindi per il canalone della parete sud del Sass de Mura (ore 1,15)

Discesa: Per lo spallone  sud ( I/II qualche pass. di III), oppure per la banca soliva verso ovest e quindi per il Cadin de Neva (più lunga ma facile) . 1,30 ore entrambe al rifugio o alla malga.











martedì 11 settembre 2018

SASS DE MURA; Avancorpo occidentale; Parete sudovest; Via " L'ultima del vecio" Aldo Pier e Lia


Non so dire se il nome della via è per Aldo, che a sessantasette anni si lamenta per i numerosi acciacchi e per la fatica disumana a cui è sottoposto ogni volta. O se forse, è riferito a me, che nonostante gli allenamenti e le molte ripetizioni, non riesco più a raggiungere il ritmo partita e andare oltre i trecento metri senza essere esausto e demotivato....
Per fortuna ci sono ancora numerose brevi pareti dimenticate, con linee probabili ancora da salire, dove bene o male qualche colpo riesco ancora a spararlo.
Una perla nascosta è sicuramente la suggestiva pala rocciosa che si innalza dai Cadin di Neva e fa da basamento al versante occidentale del Sass de Mura. La fascia centrale presenta un salto di roccia giallo grigia, strapiombante e compatta, che non poteva sfuggire alla mia voglia di trovare qualche tiro duro da fare in modo pulito. Aldo avrebbe preferito una vietta più facile e  Lia bestemmia preoccupata per la qualità della roccia, e soprattutto perché avrebbe preferito andare sul sicuro e compatto del Passo Gardena....
Alla fine siamo tutti contenti, ne esce una via breve, su roccia discreta e con un tiro stra duro che personalmente mi soddisfa parecchio.

Avvicinamento: Dal parcheggio,  ad un chilometro più avanti del Rifugio Fonteghi,  proseguire a piedi sulla forestale e raggiungere la malga Neva di Mezzo  ( ore 1). Quindi  per il sentiero in direzione del Pass de Mura fino ad incontrare sulla sinistra il sentiero che sale ripido al Cadin de Neva. Risalirlo e poco sotto all'ultimo tratto ripido che sale sul ampio "Cadin" (cascatella e costruzione in cemento), abbassarsi e attraversare a destra in direzione della parete (traccia fra i mughi tagliati, ore 0,30).

Discesa: Facilmente, a destra ( faccia a valle) per brevi salti rocciosi e canalini fino al Cadin de Neva ( ore 0,20).







giovedì 23 agosto 2018

Passo Gardena: ma che belle viette!




Torre orientale delle Meisulles dala Biesces, nord (Via Brunsin, A.Holzknecht e G.Demetz 1985)
Alcuni cordini su piccole clessidre indicano il percorso in un oceano grigio, tutto facile per i ripetitori, ma i primi salitori non lo sapevano che c'erano le clessidre...Bravi, un vero capolavoro...
Accesso: Dal Passo Gardena scendere alcuni chilometri in direzione Selva di Val Gardena, in corrispondenza della torre salire brevemente per tracce all'attacco( 10 minuti).
Discesa: Dalla cima, raggiungere la  cengia, proseguire a sinistra in direzione della cascata del
Mufreit (est) e quindi ancora a sinistra verso la base della parete e della strada (1 ora).








Torre occidentale delle Meisulles dala Biesces, nord ovest ( Via Triathlon, M.Olzowy e co. 1985).
Di stampo classico, ma con qualche placca da fare con le pinze, muovendosi bene, e le fessure abbastanza cattivi...
Accesso: Come la precedente, solo parcheggiare più avanti.
Discesa: Come la precedente.


































Gran Cir, sud est ( via G. Demetz e A. Gropello 1936).
Una via di altri tempi, esplorativa, su roccia comunque sana, così come la ho interpretata io, forse...  con una variante nella parte finale...
Accesso: Dal Passo Gardena, direttamente per tracce e sentieri in direzione dell'evidente cima (40min.)
Discesa: Facilmente verso ovest per l'evidente via normale ( qualche tratto attrezzato ore 1'30 al passo).