Ora
la parete era meno strapiombante, al di sopra dei nostri sguardi si
innalzava un muro giallo e compatto, segnato appena sopra la nostra
sosta da un’esile fessura chiusa ben presto da un rigonfiamento
roccioso, poi solo lisce placconate gialle. Dopo il superamento
abbastanza agevole della fessurina, ci trovammo su un tratto di
roccia di difficile chiodatura e la nostra arrampicata ora libera –
mista artificiale subì uno stop. Tutti i tentativi per avanzare e
piantare un buon chiodo sembravano vani, il tempo passava velocemente
e lo sconforto era sempre più forte tanto da pensare alla ritirata.
Dopo ripetuti tentativi, Ale provò a piantare un chiodo dentro ad un
buco all’apparenza cieco tanto che fino ad allora non l’aveva
nemmeno preso in considerazione e, sorpresa delle sorprese, il chiodo
entrò quasi del tutto. Ora l’entusiasmo era di nuovo buono perché
ora altri due metri erano stati vinti, perché ora si poteva osare
anche qualcosa di più! Oramai si era fatto tardo pomeriggio e dopo
un po’ di peripezie varie, il muro giallo era finalmente nostro e
da sotto della parete llio urlava entusiasta “L’è fatta l’è
fatta ora la via!”.
Era
tardi e in un giorno eravamo riusciti ad aprire solamente una
lunghezza di corda oltre a ripetere le altre due ma eravamo felici
perché ora c’era solo da attraversare verso destra senza apparenti
difficoltà sino al nostro desiderato virgolone di roccia grigia.
Era
domenica e il giorno successivo il lavoro incombeva puntuale quindi
ci calammo lasciando su le corde per una rapida risalita per la volta
successiva. Stanchi ma soddisfatti rientrammo in valle accompagnati
sempre dal nostro tutor.
10/10/2010
dopo un pessimo e umido bivacco trascorso sotto allo zoccolo del
Campanile e una risalita in jumar ci trovammo di buon mattino a
scalare ancora sulla roccia vergine sospesi nel vuoto sopra il boral
della Bezausega. Ora l’arrampicata era più fluida alternando passi
difficili a lunghezze di corda più scorrevoli, con a tratti roccia
un po’ friabile e a tratti lunghezze con croda come il marmo. Tutto
questo fino sopra la cima, dove verso sera forte suonammo la campana
a liberazione della nostra infinita gioia. Gioia di essere in vetta,
gioia di aver ripreso le orme di un mito come il Mass, gioia di esser
là con Ale, che ha saputo con l’abilità che lo contraddistingue
colmare il mio non ottimale stato di forma, gioia di esser là con
Ilio…perché, anche se non c’era fisicamente, per me quel sogno è
stato realizzabile anche per il suo impegno e la sua vicinanza, è
come se fossimo stati in tre in parete. Gioia di essere in un luogo
dove gli alpinisti si sentono tali, dove la discesa lunga e faticosa
può essere resa lieta dall’incontro di un amico con le birre in
mano, dove un forte abbraccio riesce a dire più delle parole, dove
il pensiero va alla memoria di quel formidabile alpinista di nome
Lorenzo Massarotto.
Nessun commento:
Posta un commento